I solfiti nel vino, servono veramente?

Bicchieri di vino


Il dibattito è acceso da tempo, sia tra gli esperti enologi, sommelier e produttori, sia tra i semplici amanti e appassionati seguaci di Bacco. La discussione classica è quella per cui i solfiti in eccesso servano o meno alla produzione di un buon vino, perché vengono inseriti e, soprattutto, quali solfiti sono meno “dannosi” degli altri.

Spesso si parte da una posizione di prevenzione, senza conoscere al meglio le dinamiche che portano all’immissione dei solfiti nel vino. Chi ha frequentato le cantine di vinificazione oppure anche un corso degustazione vino a Milano sa che i solfiti sono presenti nel vino… naturalmente!

E allora quando arriva il momento in cui vengono inseriti, e perché? Facciamo chiarezza: prima di tutto bisogna sapere cosa sono i solfiti e a cosa servono.

Solfiti come conservanti del vino

Quando un vino comune arriva in tavola, se leggiamo bene la dicitura “contiene solfiti” sappiamo che in questa bottiglia sono presenti delle quantità di queste sostanze chimiche, utilizzate come conservanti del vino.

Nei metodi di produzione vino industriali, se ne utilizzano quantità variabili, a seconda della scelta di metodo, per evitare che si scateni l’azione dei batteri che deteriorano gli alimenti in modo rapido. Inoltre, sono attivi beneficamente su alcuni enzimi naturali, che una volta a contatto con l’ossigeno si deteriorano e vanno ad alterare il sapore e il profumo degli alimenti, in questo caso il vino.

I solfiti come conservanti, antimicrobici e antiossidanti, quindi, sono ben accetti all’industria alimentare. Le loro proprietà derivano sostanzialmente dalla loro composizione, ovvero l’unione dello ione del solfito (zolfo e ossigeno), con atomi di anidride solforosa SO2 e bisolfito di sodio NaHSO3.

Non solo nei vini, sono presenti questi conservanti, ma anche in alcune bevande e alimenti, tra cui pomodori, confetture di frutta, succhi di frutta e baccalà.

Se in questi casi si tratta di solfiti aggiunti dall’industria alimentare, riguardo al settore vinicolo c’è da chiarire che i solfiti aggiunti artificialmente si vanno ad aggiungere, a loro volta, a quelli prodotti naturalmente dalla vinificazione. I solfiti naturali sono presenti nella fase di fermentazione in cui gli zuccheri si trasformano in alcol, e l’azione dei lieviti presenti sulla buccia dell’uva è quella che produce i solfiti in modo naturale.

Tra questi, l’anidride solforosa che, insieme ad altri solfiti naturali, può raggiungere quantità di circa 40 mg /litro, mentre la sua aggiunta artificiale avviene con quantità maggiori, dato che la sua presenza naturale non è abbastanza per la conservazione delle caratteristiche organolettiche del vino (odore e sapore), né per sconfiggere i batteri in agguato.

L’aggiunta dei solfiti artificiali

La cosiddetta solfitazione può avvenire già nella fase in cui i grappoli d’uva dopo le raccolte della vendemmia si trovano in cantina, al fine di selezionare gli agenti microbici che andranno a far parte della fermentazione alcolica.

In particolare, viene aggiunto in questa fase il bisolfito di sodio, per evitare l’ossidazione del succo e limitare lo sviluppo di batteri durante la fermentazione dei lieviti sulle bucce.

Si utilizza soprattutto nella vinificazione dei rossi, dato che durante la macerazione il bisolfito di sodio estrae il colore rosso dalle vinacce e lo stabilizza nel mosto. Nella produzione del vino bianco, invece, i solfiti sono maggiori dato che non sono presenti molte sostanze polifenoliche, che nei vini rossi favoriscono la conservazione. I vini bianchi vengono più facilmente aggrediti dai batteri, in particolare i vini molto dolci in cui gli zuccheri non si trasformano totalmente in alcol.

Alla fine della fermentazione, invece, vengono aggiunti dei solfiti in modo da conservare correttamente il vino ottenuto, e per rendere più limpido il mosto. Anche nella fase di imbottigliamento del vino, l’anidride solforosa agisce in modo antiossidante garantendo una durata nel tempo.

Chi non vuole aggiungere i solfiti

Secondo alcuni enologi o produttori, gli unici solfiti che sono degni di essere inseriti sono quelli naturali, mentre altre cantine si limitano all’utilizzo dei solfiti solo durante la fase di imbottigliamento.

La parte mediana del dibattito è composta da coloro che pensano debbano essere inseriti dei solfiti solo quando le uve si presentano facilmente intaccabili dai microbi, ad un occhio esperto.

In ogni caso, un vino totalmente senza solfiti non esiste, ma almeno che si possano fomentare quelli naturali, è possibile.

Si utilizzano a tal fine dei sistemi di regolazione della temperatura e di controllo dell’ossigeno durante l’affinamento del vino, per limitare l’azione dei batteri ed evitare l’inserimento dei solfiti.

Tra i vinificatori “naturalistici”, si tende da qualche anno a ridurre l’aggiunta di anidride solforosa nella fase iniziale sulle uve mentre si è meno severi nella fase finale, quando il vino tende meno a legare con i solfiti e ad incamerarli come sostanze fondamentali.

Chi vuole invece inserire i solfiti nel vino, rivendica il fatto che la loro assenza può compromettere le componenti organolettiche, dato che l’anidride solforosa è in grado di preservare sapori e profumi originali. Di certo non si deve arrivare al problema opposto, per cui un eccessiva presenza di solfiti altera il vino fino ad arrivare ad un sentore e sapore di uova marce…

Le dosi di solfiti aggiunti concessi nel vino

Si possono aggiungere al vino dei solfiti che, però, per legge devono presentare dei valori ben precisi, che devono superare almeno i 10 mg / litro.

Quando la loro presenza si trova al di sotto dei 10 mg / litro, i vini vengono considerati vini senza solfiti, e sull’etichetta si può omettere la dicitura “contiene solfiti”, che tanto spaventa alcuni consumatori.

La normativa dell’Unione Europea (Regolamento CE 606/2009) ha fissato il limite massimo dei solfiti che possono essere presenti in un vino, nel valore di 150 mg / litro per i rossi e 200 mg / litro per i vini bianchi.

Il limite che si alza a 200 e 250 mg/l per i vini dolci o per tipi di vino particolari.

La normativa si è ampliata poi con una regolamentazione sul vino biologico (Regolamento CE 203/2012), in cui si ammette l’uso dei solfiti nei vini bio, con quantità massime di 100 mg / litro per i rossi e di 150 mg / litro per vini bianchi e rosati.

Si possono aumentare di 30 mg / litri i solfiti, quando il vino possiede oltre 2 grammi di zucchero residuo.

Per chi si chiede in etichetta, quando ci siano, quali composti sono presenti, è bene ricordare queste denominazioni per i solfiti alimentari aggiunti:

  • E 220 – anidride solforosa
  • E 221 – solfito di sodio
  • E 222 – bisolfito di sodio
  • E 223 – metabisolfito di sodio
  • E 224 – metabisolfito di potassio
  • E 226 – solfito di calcio
  • E 227 – bisolfito acido di calcio
  • E 228 – solfito acido di potassio.

I solfiti del vino fanno male alla salute?

Si tratta di sostanze chimiche che possono essere nocive per la nostra salute, anche dato il fatto che si tratta di allergeni, ovvero sostanze in grado di scatenare nel sistema immunitario delle reazioni allergiche – anche se alcuni consumatori notano più che altro mal di testa, dopo qualche bicchiere di vino particolarmente ricco di solfiti.

In realtà, infatti, la EUFIC (European Food Information Council) ha dichiarato che la definizione di allergeni corrisponde ad una catalogazione solo legale ma non medica. I solfiti non scatenano effetti gravi di allergia come lo shock anafilattico, previsto dall’azione di altri allergeni.

Sono più spesso presenti i sintomi di intolleranza ai solfiti, come il suddetto mal di testa oppure il mal di stomaco, mentre la situazione si può complicare se si è affetti da asma, per la quale i solfiti possono provocare qualche respiro affannoso e sintomi di tosse.

La maggior parte delle persone tollerano la presenza dei solfiti nel vino, anche se è stato studiato che una ingestione continua, giorno dopo giorno per molto tempo, può provocare qualche problema nell’assorbimento della vitamina B.